Chiesa e mafia, minori a rischio: i vincitori delle borse di studio 2018
- 18 Dicembre 2018
La tutela dei minori cresciuti in contesti mafiosi e la decisione “estrema” di alcuni giudici calabresi di allontanarli dalle famiglie d’origine; la condanna della mafia da parte della Chiesa di Papa Francesco e la necessità di “purificare” i riti dalle infiltrazioni di Cosa nostra; i tentacoli dei clan sul calcio: sono alcune delle dieci ricerche premiate con le borse di studio della Fondazione “Giovanni Falcone”, finanziate dall’Assemblea Regionale Siciliana, nate con l’obiettivo di sviluppare l’attività di studio su temi legati alla criminalità con particolare riferimento alle mafie. I vincitori, tutti laureati in Giurisprudenza col massimo dei voti, hanno ricevuto un contributo di 7mila euro. Questo pomeriggio i progetti sono stati esposti all’Ars nel corso di una cerimonia a cui hanno partecipato la presidente della Fondazione Falcone, professoressa Maria Falcone e il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Micciché, i componenti della commissione di valutazione Leonardo Guarnotta, segretario del Consiglio della Fondazione, e Giuseppe Ayala. Contestualmente sono stati resi noti i vincitori delle borse di studio del 2018 che l’Ars, da quest’anno, ha portato a 15. Tra i nuovi lavori premiati che verranno presentati nel 2019: “mafia e caporalato”, “minori non accompagnati e infiltrazioni mafiose”, “nuovi paradigmi di crimine informatico di stampo mafioso: il criptopizzo” , “il nuovo reato di depistaggio e le sue implicazioni nella lotta alla mafia”.
“Giovanni era convinto che la mafia si dovesse combattere non solo con la repressione, ma anche attraverso l’educazione delle nuove generazioni; perché il fenomeno mafioso è principalmente un fatto culturale e per contrastarlo é necessario affermare la cultura della legalità”, ha detto Maria Falcone. “Seguiamo i ragazzi in un percorso di legalità dalle scuole elementari alla laurea e queste borse di studio sono un biglietto da visita prestigioso per l’ingresso dei ragazzi nel mondo del lavoro”, ha spiegato.
“Quella delle borse di studio è una iniziativa che mi sta particolarmente a cuore soprattutto perché vengono assegnate dalla Fondazione nata in memoria di un grande magistrato come Giovanni Falcone”. Miccichè ha prospettato la possibilità di una convenzione con la Fondazione Falcone che istituisca stage all’Ars per i giovani laureati, una sorta di scuola politica che mostri ai partecipanti i meccanismi di funzionamento dell’Assemblea Regionale.
Le ricerche presentate hanno approfondito diversi temi, tutti di stretta attualità, come le potenzialità della confisca dei patrimoni nei reati contro la pubblica amministrazione, la prevenzione della corruzione nel sistema degli appalti, l’inquinamento mafioso delle imprese. E ancora le infiltrazioni del fenomeno mafioso nel mondo dello sport e in particolare nel calcio: dalla gestione delle scommesse, all’acquisizione della proprietà delle società, soprattutto nelle categorie minori, utilizzate per il riciclaggio di danaro sporco e come “macchine di consenso”.
Molto attuale e interessante la ricerca di Francesca Incandela su “L’allontanamento dei figli d’onore dal nucleo familiare e il ruolo delle donne”. Una misura, quella dell’allontanamento dalle famiglie d’origine, adottata dai giudici calabresi per la peculiarità della ‘Ndrangheta che coinvolge direttamente i ragazzini nella commissione dei reati. In Sicilia non si è arrivati a provvedimenti così radicali perché come ha osservato Francesco Micela, Presidente del Tribunale per i Minori di Palermo, la mafia siciliana evita di utilizzare i minori non tanto al fine di proteggerli quanto per proteggere se stessa, perché diffida di loro e li considera inesperti ed imprevedibili. Nello studio si sottolinea poi come manchino norme che impongano di comunicare ai tribunali situazioni a rischio: tanto che in Calabria dda e tribunali minorili hanno stipulato protocolli che dispongono uno scambio di informazioni in caso, ad esempio, di arresti per mafia. Nell’attesa dell’intervento del legislatore nazionale, anche tra gli uffici giudiziari del distretto palermitano c’è la volontà di predisporre protocolli di intesa sul modello di quelli calabresi. Ciò è testimoniato dal fatto che da un anno a questa parte si sono svolti con cadenza periodica diversi incontri informali e formali per discutere dell’argomento.
Chiesa, mafia e falsa fede: dal negazionismo all’antievangelicità. Ruoli, responsabilità e nuove sfide per Stato e Chiesa nella lotta alla criminalità organizzata” di Marianna Alessio è invece un’analisi storica, culturale e sociale del legame tra fede cristiana e devozione mafiosa e un excursus sull’atteggiamento della Chiesa: dal negazionismo alle prese di posizione, prima solo dei singoli religiosi, fino all’anatema lanciato dalla Valle dei Templi, nel 1993, da Papa Giovanni Paolo II e rinnovato da Papa Francesco a settembre. Un lungo capitolo dello studio è dedicato alle devozioni e celebrazioni religiose “patrocinate” dalla malavita organizzata non solo in Sicilia, ma in tutto il meridione. Emblematico quanto successo ad Oppido Mamertina, in Calabria, il 2 luglio 2014. La Madonna delle Grazie portata a spalla si ferma, inchinandosi, sotto la casa del boss ergastolano Peppe Mazzagatti. La scena si ripete a Paternò in provincia di Catania nel 2015 per la festa di Santa Barbara dove nel corso della processione si rende omaggio a un esponente del colon Santapaola detenuto ai domiciliari.
Infine la ricerca analizza i documenti delle Conferenze Episcopali fino alla lettera della Cesi (la Conferenza Episcopale Siciliana) del maggio scorso dal titolo “Convertitevi!” in cui si legge, tra l’altro: “tutti i mafiosi sono peccatori, quelli con la pistola e quelli che si mimetizzano tra i cosiddetti colletti bianchi. Le mafie sono strutture di peccato e -scrivono i vescovi -sono peccati non solo omicidi, stragi e traffici illeciti grandi e piccoli dentro e fuori la Sicilia (o l’Italia), ma anche l’omertà (il silenzio di chi diventa complice) e la mentalità mafiosa che si esprime nei gesti quotidiani di prevaricazione”.
I vescovi, ricordando il silenzio in cui per molto tempo la Chiesa è restata, ribadiscono la volontà di costruire il nuovo impegno pastorale non sulla base della mera parola ma dell’azione concreta.